Il giardino, inteso come un contesto nel quale gli spazi naturali vengano riproposti, artificialmente ricreati e modellati alla ricerca delle loro migliori espressioni, ha vissuto nei secoli alternanze di momenti di gloria, di abbandono o recupero, di rivisitazioni di attitudini antiche o innovazioni fantastiche: ogni civiltà antiche ha sviluppato il suo spazio verde su concetti e intendimenti differenti, certamente dettati dalle condizioni climatiche ma soprattutto dal concetto di prestigio e dal connotato religioso dei quali i giardini erano investiti.
Imponenti come i giardini della Mesopotamia e come quelli persiani, dei quali abbiamo notizia dalle letture della storiografia classica, i giardini dell’antico Egitto presentavano caratteristiche modulari e geometriche, in linea senza dubbio con le concezioni del divino di questa civiltà erudita: l’ordine cosmico si ritrova nei giardini dalle forme lineari e pulite, come per i lunghi filari di alberi lungo i canali di irrigazione, precursori della fortuna dei viali alberati che caratterizzeranno le città europee dal 1700 in poi.
Per gli antichi greci il giardino invece era un luogo sacro e legato al culto degli dei: nella polis non si trovavano giardini particolarmente ampi, anche per il fatto che le citta erano spesso arroccate e le abitazioni addossate le une alle altre.
Erano piuttosto piccoli luoghi curati, utilizzati per il fabbisogno alimentare che si espansero insieme al fiorire della città: i maggiori furono costruiti presso le scuole elleniche, ed erano luogo di incontro per gli studiosi e gli intellettuali dell’epoca.
In un certo senso i giardini i pubblici moderni assolvono allo stesso compito, coniugando all’aspetto decorativo una funzione sociale: ritrovarsi per parlare e per stare insieme. I giardini dell’antica Grecia non dovevano essere meravigliosi, stupire per opulenza, varietà di fiori e piante esotiche: per i Greci la bellezza era decisamente da ricercarsi altrove, in luoghi dove si esercitavano l’arte scultorea, la poesia e la letteratura.
Le influenze della cultura greca contribuirono ampiamente a modificare il concetto di verde nell’antica Roma: nella Roma repubblicana il giardino era stato per decenni un semplice “hortus” dove coltivare gli ortaggi frutta ed erbe, protetto dal muro e dagli dei della casa. La cultura romana era frugale, una certa austerità dei costumi aveva preservato per secoli la società dagli eccessi estetici e morali.
La cultura ellenica, che penetra a Roma dopo la conquista della attraverso la moltitudine di schiavi decisamente più colti dei loro padroni, si radica rapidamente per la tendenza aristocratica di fare educare i propri figli da precettori Greci, dei quali era stata riconosciuta la superiorità culturale.
A nulla valsero gli ammonimenti del censore Catone che in quegli anni precedenti l’impero protestò contro questo “decadimento” dei costumi: la cultura romana si andava progressivamente allontanando dal perseguimento delle virtù degli antenati che l’aveva caratterizzata.
Per le classi sociali agiate il giardino divenne un simbolo del proprio status, della ricerca del bello e della capacità di tradurre in private meraviglie quanto di più spettacolare la natura poteva offrire. La creazione di questi giardini, chiamati “horti” perché conservarono comunque una parte dedicata alla coltivazione, era affidata al topiarius, il primo giardiniere paesaggista della storia. Gli storiografi descrivono l’arte del topiarius come un’attività creativa, una vera ricerca plastica, un tentativo di modificare lo spazio e la sua percezione.
Fondamentale nella costruzione dei giardini romani era l’aspetto compositivo: i muri dei giardini e le pareti delle case si offrivano alle decorazioni pittoriche, con composizioni di piante fiorite, paesaggi curati nei minimi particolari.
Oggi conosciamo il giardino romano dagli affreschi e dalle decorazioni delle pareti delle ville romane: il topiarius era chiamato a ricreare nei giardini proprio i paesaggi dipinti dagli artisti, dando loro magicamente vita. Insieme alle piante sempreverdi i giardini e i parchi ospitavano sculture: quando non c’era la possibilità di disporre di statue gli alberi venivano potati magistralmente affinché assumessero una forma geometrica, forme di animali, scene allegoriche e mitologiche.
Il giardino romano oltre a essere un richiamo alla poesia e all’arte, sviluppa le prime basi architettoniche.
Attraverso lo studio della prospettiva e degli scorci laterali dei “trompe l’oeil” , viene realizzato un ambiente naturale estremamente plastico nel quale nulla è lasciato al caso. L’originale “hortus” della domus romana si trasforma in una pluralità di ambienti, gli “horti” della villa, nei quali si piantumano viti, ulivi e alberi da frutta, insieme a piante decorative come cipressi, mirto e rosmarino.
Dal primo secolo d.C. nel giardino si introducono anche luoghi d’acqua, come le piscine termali, le fontane e gli irrinunciabili ninfei. Viali e siepi fiorite accompagnano il visitatore lungo un percorso di meraviglie verso angoli riparati dove dedicarsi alla musica, alla lettura e al ricevimento. Le ville imperiali raggiunsero in tal senso livelli espressivi davvero elevati e di grande suggestione. La filosofia e il costume greco aveva rappresentato l’occasione di una svolta culturale e liberale alla quale i romani non avevano potuto rinunciare: le ricercatezze dei giardini romani venivano riproposte lungo le strade, presso i cimiteri, nelle piazze.
Il giardino romano conoscerà nel periodo dell’impero il suo massimo splendore per poi scomparire con la sua caduta: fortunatamente molti testi di letteratura ci hanno lasciato la testimonianza delle profonde conoscenze in materia di botanica ed agraria, che il “topiarius“ applicava con maestria nelle sue opere vive. Il primo giardiniere paesaggista del passato gode ancora di grande fama!